eufemia, frammenti

a cura di Giulia Lo Porto

eufemia, frammenti

Menù principale

Vai al contenuto principale
Vai al contenuto secondario
  • Home
  • Contatti
  • Cos’è

Archivi tag: Dialogo

Oltre l’ingenuità: lettera aperta a Paolo Dall’Oglio

Pubblicato il luglio 29, 2017 da Giulia Lo Porto
Rispondi

11717014_10206796285373106_1764218465_n

Caro Abuna Paolo,
in questi giorni tutti parlano di te. Vengono dette molte cose, diverse tra loro, contraddittorie, confuse, presuntuose. Neppure in questo ti è toccato in sorte un destino diverso da quello toccato alla Siria e alla sua gente.

Ci si chiede se sei vivo, se sei morto, e quale senso abbia sperare che tu possa venir fuori come Lazzaro dal sepolcro, fra le macerie di un paese offerto in sacrificio sotto gli occhi di tutti, sull’altare di sistemi infami e di un mondo troppo troppo ingiusto.

Ti si rimprovera d’essere andato a morire, inutilmente. Che pensavi di fare? Parlare con Al Baghdadi? Riuscire in mediazioni fallite (ma mai veramente provate?) dai più alti corpi diplomatici internazionali? Far liberare i prigionieri? Riportare gli estremisti all’Islam della pace? Volevi fare meglio di Gesù forse? Riuscire a disinnescare la miccia della guerra, il furore dell’odio?

Ma il punto, io credo, non è questo, il punto non è cosa volevi fare quel 29 luglio di quattro anni fa, tornando clandestinamente a Raqqa. Il punto è quel che avevi fatto nei trent’anni precedenti, quando tutti i riflettori sulla Siria erano spenti e tu vivevi tra le montagne rosa di un paese oppresso si, ma vivo, attivo e bellissimo.

In quel viaggio assurdo che ti ha inghiottito chissà dove e chissà per quanto, hai cercato di non disperdere i frutti di una vita. Non volevi assistere alla morte dei ragazzi che avevi visto crescere e con i quali avevi parlato, studiato, lavorato perché la Siria diventasse libera, unita, colta, spirituale oltre qualunque intolleranza religiosa, perché la convivenza e la reciproca conoscenza sono le fondamenta della pace e tu lo sapevi già e tu lo vivevi già.

Non potevi guardare dalla poltrona della tua casa di Roma, dove il regime ti aveva esiliato, lo sfacelo di un sogno per il quale avevi comunque già offerto la tua vita.

BwSR-dfIYAEWciJ (1)

Basta leggerti ed ascoltarti per capire che in te e nella tua storia personale di equilibrato non c’è nulla. Tu stesso lo dici di essere cresciuto tra “collera e luce”. E per paura di mancare l’obiettivo e il senso della tua esistenza, sei stato probabilmente puntuale all’appuntamento, incomprensibile per molti, con la tua morte.

Ma, caro Paolo, tu che all’appuntamento con la mia personale rivoluzione umana e spirituale sei stato di una puntualità disarmante, tu che hai polverizzato con la forza della tua esperienza l’idea di un cristianesimo chiuso, sempre in trincea, autoreferenziale, ridicolmente e pericolosamente asservito ai giochi feroci di dominio di pochi piccoli uomini, tu che hai fatto moltiplicare il frutto dei miei studi biblici e dato senso alla faticosa ricerca su quelle parole antiche, sapienti e difficili, tu non puoi certo pensare che io mi rassegni così alla tua morte.

Tu devi tornare per forza. Perché in questi quattro anni tanti di noi si sono preparati, come hanno potuto e saputo, a ricostruire la Siria, tanti giovani e meno giovani, in occidente, oggi sanno e fanno cose che prima sarebbero state impensabili: studiano l’arabo, leggono il Corano, si informano e si formano cercando di capire il mondo arabo e l’islam, costruendo il dialogo, tendendo le loro mani.

Abbiamo fatto e continuiamo a fare quel che possiamo, perfino in un paese come il nostro Paolo, dove le ingiustizie sembrano non suscitare sdegno. Lo abbiamo fatto e lo facciamo nelle scuole dove insegniamo da precari, nelle librerie indipendenti che lottano per una cultura plurale e libera, nei circoli Arci, nei comitati antirazzisti, lo facciamo da giornalisti freelance sottopagati, seppur bravissimi.

Cosa è questo a fronte di un milione di morti e undici milioni di sfollati? A fronte delle torture nelle carceri di Bashar al Assad? A fronte dei gas che uccidono i bambini? A fronte dei morti nel mar Egeo e nel mar Mediterraneo? A fronte di potentissime forze politiche e militari, delle loro bombe, delle loro tattiche sporche? A fronte delle divisioni interne al mondo arabo, antiche e dolorosissime? A fronte del dilagare di una sottocultura fascista che si nutre di ignoranza e che scansa la fatica di qualsivoglia conoscenza?

Niente. Non è niente. Ma lo stiamo facendo lo stesso.

Però, Paolo, se tu, da solo, pensavi di poter evitare la distruzione della Siria, noi, siriani e non siriani, arabi e occidentali, cristiani, atei e musulmani, noi che, prima di tutto, ci sforziamo di lavorare alla consapevolezza dei nostri cuori e poi alla pace tra le persone, tra le infinite contraddizioni della condizione umana e i più svariati errori, rivendichiamo il diritto alla speranza, rivendichiamo il diritto di vederti, parlarti, ascoltarti, di nuovo.

Chi potrà guarire le ferite che tanta morte, abbandono, ingiustizia e violenza hanno provocato? Davvero, non lo so. Non so se sia possibile, non so neppure se Dio sia capace di sanare tanto dolore. Ma so che la pace può essere invocata e credo, oltre il limite di ogni ingenuità, che la consolazione e la grazia della vita sono risorse inesauribili perfino nel cuore degli umani più feriti.

Lo vedo negli occhi, nelle parole, nelle azioni dei genitori di Giulio Regeni, per esempio, così come negli occhi, nelle parole e nelle azioni delle famiglie siriane giunte nella mia città. I loro bambini giocano con i miei nipoti e la loro speranza di riuscire a ri-vivere incontra l’impegno e la tenacia di coloro che non considerano inutile lottare contro i giganti. Proprio come hai fatto tu, prima abbandonato dai tuoi, in quell’isolamento che la “struttura chiesa” riserva ai profeti colmando, con la malizia e la menzogna, la distanza che c’è tra il compimento della giustizia e la propria sclerocardia e poi vessato dal regime, ma tenacemente convinto della forza del popolo siriano e della potenza di quel vangelo di pace che le comunità credenti ovunque nel mondo continuano ad annunciare.

Quindi, Paolo, ora basta, adesso è tempo di tornare.

E nell’attesa che non demorde, intanto, As Salaam alaykum fratello mio, ovunque tu sia.

d

Pubblicato in La notte accanto ai fuochi | Contrassegnato 29 luglio 2013, corano, Dialogo, guerra, islam, Paolo Dall'Oglio, rapimento dall'Oglio, Raqqa, Siria | Lascia una risposta

Sorprendere

Pubblicato il settembre 16, 2013 da Giulia Lo Porto
8
(foto di Alban Grosdidier)

(foto di Alban Grosdidier)

I libri, i vocabolari dicono che locus communis era, nelle città, il luogo dell’incontro, del confronto, era il forum, era la piazza. Oggi, il luogo comune è invadente, abitant delle nostre case e, spesso, delle nostre teste. A volte, penso che l’80% di quanto ci fa soffrire nella vita sia causato dai luoghi comuni ai quali non riusciamo ad aderire o dai quali non riusciamo a svincolarci.

Luogo comune. Un tempo erano i proverbi, un tempo, luogo comune, era  la cantina, dove venivano conservati i cibi costosi e il vino buono. Un luogo nel quale, con la pazienza della formica e la speranza della cicala, si riponevano e si custodivano le cose imparate con fatica.

No, non è un elogio retorico del tempo che fu, anche perché io, nel tempo che fu, non ci sono ancora stata. Io, ad oggi, sono l’oggi, quello che, magari ancora per poco, possiede più futuro davanti che passato alle spalle. È solo che, da qualche giorno, a causa di parole ricevute e dette, il pensiero del luogo comune mi viene a far visita. Lo incontro ovunque, v’inciampo ad ogni passo.

Oggi, il luogo comune, non è più cantina fresca di prelibatezze. Oggi, il luogo comune è un posto malsano. Umido, con la muffa nera delle infiltrazioni d’acqua. Non vi entra luce. È un posto buio che risucchia e che priva del senso d’orientamento. Luogo comune. Ne siamo più schiavi e più complici di quanto crediamo. Basta fare la prova: accendere la tv, camminare per strada, ascoltare, guardare la gente e…provare a soffermarsi un attimo sulle cose che, di rimando, ci si trova a pensare.

Una mia amica mi racconta che, tanti chili fa, quando andava dal tabaccaio a comprare le gomme da masticare, quest’ultimo prendeva i soldi, dava il resto e lo scontrino senza neanche guardarla in faccia, rispondendo in modo veloce e sgarbato al suo saluto cortese. Oggi, che la mia amica è bionda e bella e truccata e magra, il tabaccaio, l’impiegato delle poste o il conducente del bus rispondono in modo caloroso e sorridente al suo saluto cortese. Certo, così corro il rischio di cadere nel luogo comune “maschio affamato”, appunto, ma, di fatto, questa è la sua esperienza. È quasi più forte di noi: i magri sono felici, i magri e belli sono strafelici! Altro amico, ragazzo di colore. Artista. Una sera stava appoggiato ad una macchina in attesa di altri amici. Un signore, quello della macchina accanto, si è avvicinato e, frettoloso, ha detto: “grazie”, allungando sul palmo della mano del mio amico la generosa ricompensa di 50 centesimi per aver custodito la sua automobile. Vero. Ragazzo di colore appoggiato alla macchina = posteggiatore abusivo. E si. Luogo comune. Posto umido e malsano, dove si accumulano tutte le scorie dei nostri pensieri non riflessi. È frutto marcio del luogo comune chi, sul cartellone della pubblicità di una compagnia telefonica che promuove tariffe convenienti per la romania, scrive: “rumene puttane”.

Ma questi sono i luoghi comuni con la divisa, quelli che, basta un poco di attenzione, si riconoscono. Più o meno tutti. Ci sono però i luoghi comuni che sanno mimetizzarsi meglio, abili trasformisti, capaci di prendere le sembianze dei ricchi e dei poveri, dei vecchi e dei giovani, degli intelligenti e degli stupidi. Basta leggere alcuni dei titoli delle testate nazionali più importanti per rendersene conto: “Bella brasiliana uccisa dal fidanzato geloso”. E mi fermo. Anche perché, gente molto più importante e capace di me ha scritto, a riguardo, articoli sapienti. Il luogo comune nuoce gravemente alla salute.

Ma il problema è che il luogo comune non è una bugia, una favola triste e cattiva senza radici nella realtà. Il luogo comune si nutre della realtà. Possiede una radice di verità. Se così non fosse il suo potere non sarebbe infido e ammaliante. Si attacca alla realtà e la stritola, come una piovra. Ne risucchia la linfa vitale, la trasforma, anzi la rende difforme. La fa diventare altro. Ne lascia i contorni, appena riconoscibili. Ma la sostanza, la linfa è avvelenata. E così se non ci si sposa entro i quarant’anni si è zitella, come si diceva una volta, o lesbica, come si dice oggi, come fosse un’offesa. Se sei prete sei pedofilo, se sei suora hai i baffi, se sei ricco sei ladro e se sei povero sei ladro, pure. Se sei zingaro rubi negli appartamenti e se sei brasiliano giochi bene a calcio, se hai un buon lavoro sei raccomandato e se hai la “r” moscia sei snob. E si potrebbe continuare, a lungo.

Io insegno religione cattolica nelle scuole. E ci nuoto tra i luoghi comuni, anzi, certe volte ci affogo. Il primo anno d’insegnamento, per cercare di fuggire all’idea/clichè dell’insegnante di religione, mi sono tinta i capelli di blu. Sono rimasti tutti spaesati, forse lo sono stata per un poco anch’io. Poi ho capito che per sottrarmi al luogo comune dovevo…parlare. Usare  le mie parole e non lasciarmi usare da quelle degli altri. Dovevo comunicare, comunicarmi, dovevo ascoltare e sentirmi libera di dire la mia. Dovevo incontrare e lasciarmi incontrare dagli altri. Il luogo comune si vince con il dialogo. Quante volte, sarà successo anche a voi, di incontrare qualcuno, di parlare con qualcuno, appartenente magari ad una tipica categoria da luogo comune e sentirvi spiazzati da tale esperienza. La conoscenza, il dialogo, il confronto, squartano i luoghi comuni. Proprio li strappano via. E pare di rimanere nudi, di non potersi proteggere, nascondere e difendere. Gli altri, la vita, la realtà assalgano e costringono a rimodulare, continuamente il pensiero, le parole, i progetti, i desideri. E ci si domanda chi si è, chi si vuole essere e perché, a dieci, venti, quaranta, sessant’anni. Sempre.

“In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».” (Lc 15,1-2). I pubblicani e i peccatori “ascoltano”, i farisei e gli scribi “mormorano”, verbo greco, usato nella traduzione della LXX, per indicare il parlare sommesso e tagliente del popolo: rimprovero continuo a Mosè  per il ritardo della promessa di Dio, e per quella Sua presenza che non risparmia la ferocia del deserto. Il mormorio nutre il luogo comune, l’ascolto lo lascia morire di fame. Scribi e farisei avevano già deciso chi fosse Gesù. Ogni parola che egli diceva, ogni gesto che Gesù faceva, finiva dentro alla definizione che avevano deciso per lui, causa di una condanna già emessa. Peccatori, pubblicani, prostitute, lebbrosi, ciechi, zoppi avevano, invece, la necessità di sapere chi fosse. Quando si sta male si vuole guarire. Lo si vuole più di qualunque altra cosa al mondo. Si cerca conforto, sollievo, salvezza, come il cieco di Gerico che per la confusione attorno a sèé, chiede alla folla, interroga, domanda. Avvertito della presenza di Gesù Nazareno, si alza in piedi e grida, spacca l’aria a piena voce: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. (cfr. Mc 10, 46-52)

Dare spazio all’incertezza dell’incontro, al rischio della condivisione, alla fragilità della reciproca conoscenza è alzarsi, uscire dal luogo comune, è gridare aiuto, spaccare l’aria. E bisogna credere che l’aiuto arriverà, da ciò che noi stessi siamo, dalla vita, da Dio. L’aiuto arriverà. E piano piano saremo liberi di esistere e lasceremo agli altri, al mondo, alla vita e anche alla morte la possibilità di sorprenderci cioè lasciarci cogliere/prendere da “sopra”, gesto sapiente del contadino, il quale pone nelle ceste il frutto buono che toglie la fame.

Pubblicato in La notte accanto ai fuochi | Contrassegnato Dialogo, Esperienza, Gesù, Luogo comune, Peccatori, Scribi e Farisei, Sorprendere | 8 Risposte

Articoli recenti

  • Nella luce del mondo
  • Il giorno del viaggio
  • Un sogno obliato
  • Semi tra le pietre
  • Ti conserverò un luogo

Iscriviti al blog tramite email

Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.

Unisciti a 26 altri iscritti

Commenti recenti

  • graziano su Il giorno del viaggio
  • Silvana su Un passero, il vento, un lupo, mio figlio.
  • Lu su Non ti spaventare mai.
  • casacorponotoantica su It takes a year (Il primo compleanno!)
  • Non ce n’è uno – L'esageratOre su It takes a year (Il primo compleanno!)

Archivi

Categorie

  • "perché nulla vada perduto"
  • Appuntamenti
  • Foto
  • Frammenti
  • La notte accanto ai fuochi
  • Le città invisibili
  • Uncategorized

Meta

  • Accedi
  • RSS degli articoli
  • RSS dei commenti
  • WordPress.org
Proudly powered by WordPress
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok