Cos’è

Avvenne d’estate. Di trovare nella libreria di mia sorella il libro che avrebbe segnato, per me, un prima e un dopo. Lo lessi al mare, accecata dal sole che sfuocava le lettere, o all’ombra del crepuscolo, quando cotti di sole e di sale si rimane lì, fino all’ultima luce, con la sabbia tra le dita dei piedi e fra i capelli. Ricordo che di ogni parola pensavo: è al suo posto! In una consequenzialità di perfezione quasi imbarazzante. Parole in ordine, lì, una dietro l’altra a raccontare la nostra più chiara esperienza di disordine: l’umano. Parole, metafore, fantasia e realtà, bene e male, speranza e distruzione, l’andare, il tornare, il viaggiare. Il sotto, sopra e il sopra, sotto. Restare, partire, abitare. Elementi opposti, contradditori, ma anche necessari l’uno all’altro perchè ogni cosa, lo si voglia o no, ha bisogno del suo contrario. Ma ciò che sconvolse la mia estate fu percepire quanto questi elementi mischiati fra loro fossero innescati di forza irresistibile dalla potenza del racconto.

“Le città invisibili” di Italo Calvino sono il resoconto di un viaggio. Condivisione di esperienza, relazioni fatte da Marco Polo a Kublai Kan imperatore dei Tartari. Nella presentazione del testo (ITALO CALVINO, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1993) Calvino afferma di aver scritto questo libro “un pezzetto alla volta”, viaggiando per le città appuntava in diverse cartelle ciò che gli ispirava scrittura. Questi appunti, questi “pezzetti” divengono pian piano libro: “uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma ad un certo punto trovare un’uscita o magari parecchie uscite”. Calvino spezza l’idea di città, ne moltiplica le definizioni e i contenuti: città sottili, città duplici, le città e gli scambi, le città nascoste, le città invisibili. Ma questo moltiplicarsi di aspetti non mortifica l’insieme, permette piuttosto l’intrecciarsi di memoria, di desideri, di linguaggi, di terrore, di forza, di amori e abbandono. Scrive Calvino: “questo è un libro fatto a poliedro che possiede conclusioni dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli”. Uomini e città. Elementi che si intrecciano, si moltiplicano, si dividono, si scontrano. Anche la vita è fatta a poliedro. E mai mi era accaduto di comprenderlo, di accettarlo con tale drammaticità e chiarezza.

È trascorso ormai del tempo dall’estate che mi aprì le porte delle città invisibili, dall’inizio di quel viaggio che mi vede ancor oggi, allo stesso tempo, Marco Polo e Kublai Kan, narratore e testimone, viaggiante e passeggero, che mi ha insegnato ad osare, a violare i confini del linguaggio, a considerare la visione feconda interpretazione del reale. Durante questo tempo sono accadute molte cose, il libro stesso, fisicamente, è passato da mani diverse delle mie, mani scelte con cura, mani che hanno segnato diverse tappe del mio viaggio, alcune in apparenza concluse. Ma di conclusioni, appunto, ne esistono molteplici e la vita sa penetrare alle radici di ogni fine per esiccarne l’epilogo e riscrivere la storia. Ed è dallo scontro dell’avvicendarsi tra fine ed inizio che prende vita Eufemia. Eufemia è una delle città che Calvino associa allo scambio, “a ottanta miglia incontro al vento di maestro l’uomo raggiunge la città di Eufemia, dove i mercanti di sette nazioni convergono a ogni solstizio ed equinozio”, ad Eufemia ad accadere non è solo commercio di mercanzie d’oriente ma, “accanto ai fuochi” ci si scambia storie e memoria. Fra le diverse etimologie attribuite al nome Eufemia quella che più mi è sembrata corrispondente all’intenzione di dar vita a questo blog è “parlare bene” (ευ “bene” e φημι “parlare”).

Senza pretesa alcuna, dunque, Eufemia vuole essere un “luogo” dove tentar di parlar bene, condividendo racconti e memorie, attraverso parole, immagini, esperienze, linguaggio artistico ed ogni forma di creatività e comunicazione. Eufemia nasce dal desiderio di custodire frammenti, pezzetti di quel poliedro che è la vita, vuole diventare terra accogliente, terreno fertile di idee, porzione di terra dove si semina avendo cura, come il seminatore di evangelica memoria, di seminare “a caso”, con “spreco”, in modo che tutti, tutto possa avere l’opportunità di accogliere e germogliare. Accogliere e germogliare nonostante questo tempo saturo di scoramenti e violenza, di speranze prosciugate e di orizzonti che si restringono fino a strozzare: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono di non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. Benvenuti.

0 pensieri su “Cos’è

  1. Non a casa Eufemia vuol dire: colei che parla bene..o anche, colei di cui si parla bene.. per entrambe queste donne, entrambi i significati sono più che validi..BUON LAVORO!!

  2. Ciao Giulia, ciao Lucia,
    Mi chiamo Michele, ho 28 anni e sono nato e cresciuto a Palermo. Come voi, se non mi inganno.
    Voglio subito scusarmi con voi per la forma poco ortodossa forse con cui mi sono permesso di scrivervi (tra l’altro lo faccio qui perché non ho trovato altro modo per farlo….) ma credetemi, sono rimasto folgorato dalle cose che ho letto sul vostro blog, non ho letto tutti gli articoli ma molti sì e li ho trovati tutti di una profondità che mi ha lasciato davvero senza fiato.
    Io adesso vivo fuori dall’Italia e non so se più in avanti tornerò a Palermo, ma ho letto con una ammirazione e un rispetto profondissimo quell’articolo che hai scritto, Giulia, su Palermo e l’idea di tornare …l’ho trovato bellissimo, a causa soprattutto di alcune espressioni e di immagini che hai saputo creare con una sapienza davvero non comune.
    Io non sono un critico letterario, ah, intendiamoci, non ti scrivo tutto questo perché pretenda di capirne qualcosa, non ho un lavoro di pubblicista da offrirti né uno stage da proporti…volevo solo dirtelo, anche se non ci conosciamo. Mi hai fatto venire un brivido leggendola, sarà anche che in questo momento io sono forse più sensibile al tema del ritorno….non lo so, fatto sta che l’ho sentito e ho voluto dirtelo.
    Mi farebbe piacere conoscerti, anzi conoscervi. Non credo ci sia bisogno di precisarlo, ma non ve lo dico perché abbia qualche secondo fine! L’unico fine è davvero il desiderio di guardare negli occhi le persone che hanno scritto le cose così belle, e così profondamente umane, che ho letto stasera.
    Spero di incontrarvi presto, magari proprio a Palermo…
    In ogni caso, vi faccio un in bocca al lupo grandissimo e vi mando un sorriso, virtuale, ma sincero.
    Buone cose a voi!
    Michele

  3. Ma è un bellissimo progetto…
    Grazie di avermelo suggerito è sempre grazie a @CasaLettori
    che ha promosso la rilettura questa sera.
    2 gennaio 2015

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