“La Siria, la scuola, il nostro destino”

Frequentavo la 1° elementare quando Mu’ammar Muhammad Abu Minyar ‘Abd al-Salam al-Qadhdhafi cioè il generale Gheddafi lanciò due missili SS-1 scud verso Lampedusa. Fu allora che mi resi conto della vicinanza geografica tra noi, la Sicilia, e l’Africa araba.

Frequentavo la 5° elementare, invece, quando scoppiò la “guerra del golfo” guidata da George H. W. Bush e fu allora che compresi quanto vicino a noi fosse anche il Medio Oriente. In entrambi i casi alla sigla del Tg correvo in camera per nascondermi sotto al letto e non ascoltare gli aggiornamenti sulla guerra, per fuggire quel senso di pericolo e quella difficoltà invincibile alla comprensione. Cattura defAnche se frequentavo le elementari, infatti, la teoria degli americani buoni e degli arabi cattivi mi convinceva poco e non perché fossi esperta a quell’età di politica estera o storia, ma semplicemente perché mi guardavo allo specchio e mi guardavo attorno e non vedevo facce “americane” volermi bene e prendersi cura di me, vedevo facce arabe: per me gli arabi erano i buoni!

Quando da bambina rientravo dalle vacanze al mare mia nonna mi abbracciava e poi volgeva lo sguardo preoccupato verso i miei genitori dicendo: “E fatele prendere un poco meno sole, pare proprio saracena!”.

Durante i miei viaggi all’estero o negli anni trascorsi nella penisola fuori Sicilia, mi sono sentita chiedere infinite volte se fossi italiana. Rispondere: “Si, sono italiana, vengo da Palermo”, mi è parsa sempre una mezza verità.

(Castello della Zisa, Palermo)

(La Zisa, Palermo)

Solo il tempo e gli incontri della vita mi hanno aiutata a prendere consapevolezza di quanto fosse forte quel richiamo, quella voce lontana ma distinta che mi portava a leggere autori arabi e ad interessarmi delle vicende legate a quella realtà. E per la mia naturale propensione a preferire le storie periferiche e gli attori non protagonisti, ho sempre amato moltissimo, come credo abbia pure fatto il patriarca Abramo, sia Agar che Ismaele (cfr. Genesi 16-21), senza dovere, per tale ragione, diminuire o censurare il fascino e la meraviglia per la storia ebraica di cui mi occupavo per i miei studi biblici.

Proprio per questo, quanto vissuto negli ultimi giorni è per me la realizzazione concreta di una parte della mia identità personale oltre ad essere la realizzazione di un sogno.

(Da destra: Adel el-Ali; Safa Neji; Anna Ponente e me, presso la palestra dell'I.S. Majorana)

(Da destra: Adel el-Ali; Safa Neji; Anna Ponente e me, presso la palestra dell’I.S. Majorana)

Quando il 29 luglio del 2013 Paolo Dall’Oglio è stato rapito in Siria, mi sono sentita come travolta da un’urgenza: leggere, studiare, capire, parlare, fare. Le sue parole erano state per me come il fuoco ed io, adesso, non potevo non cominciare ad occuparmi davvero del suo amore più grande: la Siria. Con il tempo mi sono resa conto che la Siria per quanto stava accadendo al suo popolo era, in realtà, affare di tutti, premura per tutti. E così, iniziando ad insegnare ho cominciato ad elaborare progetti finalizzati a far conoscere e comprendere le Rivoluzioni arabe, la vicenda siriana, l’Islam.

Non è andata sempre bene. Ad esempio una volta, proprio subito dopo un incontro in aula magna su Paolo Dall’Oglio, ho sentito due ragazze parlare tra loro dicendo, cito testualmente: “Ma chi cazzo se ne frega, ma chi è questo e lei cosa vuole da noi!”. Mi sono addolorata, ovviamente, moltissimo. E tante volte, ancora oggi, mi accade di rientrare a casa desiderando di fare qualunque altro lavoro, ma non questo!

(Introduzione all'intervento del giornalista e scrittore Italo Siriano, Shady Hamadi)

(Introduzione all’intervento del giornalista e scrittore italo siriano, Shady Hamadi)

Ma la scuola è un posto incredibile, davvero poco intellegibile per chi la guarda da fuori. Forse sono in grado di comprenderla più i contadini che i funzionari del Ministero della pubblica istruzione (già sul termine “Istruzione” si potrebbe e si dovrebbe discutere a lungo). La scuola è un luogo di semina spesso senza raccolta, perché il tempo buono della mietitura si compie lontano dalle aule e dai banchi, lì dove la vita non ha più protezioni e pretende d’esser vissuta. I ragazzi a cui insegno non sono né grandi né piccoli, sono come un grumo di potenza vitale atomica pronta ad esplodere, giorno dopo giorno. Sono giovani, ma spesso già feriti a morte, alcuni sembrano impermeabili a tutto, altri chiedono di uscire dall’aula perché il confronto diretto è troppo per loro.

(I.S. Majorana, Palermo)

(I.S. Majorana, Palermo)

Ma ieri erano lì tutti e duecento, ciascuno con la propria capacità di attenzione, forse inadeguata all’intensità degli argomenti trattati, al peso delle parole che descrivevano esperienze che nessuno dovrebbe vivere. Ieri, a scuola, i ragazzi hanno potuto incontrare ed ascoltare chi dalla Siria è giunto fin qui grazie ai corridoi umanitari della chiesa Valdese e della comunità di Sant’Egidio.

(Safa Neji e Adel el-Ali)

(Safa Neji e Adel el-Ali)

Quando Adel, siriano di Homs, ha cominciato a parlare in arabo io mi sono sentita felice, perché la sua voce che rimbombava all’interno della palestra di questa scuola palermitana di periferia, era per me una vittoria sugli slogan urlati in tv, sulla mala politica, sul giornalismo populista. Eravamo lì tutti insieme e ci stavamo in pace. Le domande dei ragazzi a Shady Hamadi, autore di “Esilio dalla Siria. Una lotta contro l’indifferenza” erano domande sincere, curiose, piccoli germogli, fragili e forti insieme, venuti fuori da ore e ore e ore di lavoro in classe.

(La dirigente dell'I.S. Majorana, dott.ssa Melchiorra Greco)

(La dirigente dell’I.S. Majorana, dott.ssa Melchiorra Greco)

E’ stato bello ieri perché c’eravamo tutti: ragazzi, docenti, dirigente, personale ATA, tutti. E’ stata la comunità scolastica ad accogliere Shady Hamadi, Fabrizio Piazza (libreria Modusvivendi), la dott.ssa Anna Ponente, direttrice del centro La Noce – Istituto Valdese, la mediatrice culturale Safa Neji e Adel el- Ali. Ciascuno aveva collaborato alla realizzazione di questo incontro ed è per questo che per tutti è stato importante.

(Shady Hamadi firma le copie del suo "Esilio dalla Siria")

(Shady Hamadi firma le copie del suo “Esilio dalla Siria”)

Da ieri ricevo messaggi di persone sconosciute che mi ringraziano per la presentazione di “Esilio dalla Siria” presso la libreria Modusvivendi e di ragazzi e colleghi che sentono di voler condividere con me le emozioni di un’esperienza forte perché vera.

(presentazione di "Esilio dalla Siria" presso la libreria Modusvivendi, Palermo)

(presentazione di “Esilio dalla Siria” presso la libreria Modusvivendi, Palermo)

(Shady Hamadi)

(Shady Hamadi)

Ha ragione Shady Hamadi quando con la forza dei suoi ventotto anni e la carica della sua rabbia sacrosanta ci esorta, soprattutto, ad incontrarci e parlare. Discutere della Siria, del mondo arabo e di qualunque cosa possa alimentare il pensiero critico, il solo capace di renderci individui liberi pronti ad assumersi la responsabilità della propria vita anche rispetto a quanto accade attorno.

Ieri non abbiamo certo posto fine alla guerra in Siria e non abbiamo potuto sollevare nessuno dalle sofferenze del conflitto. Eppure quel che abbiamo vissuto e fatto ha superato realmente il bipolarismo sempre oscillante tra assenza di pensiero e azione o rassegnazione, che molti ci presentano come unica alternativa possibile. Non è così ed è questa la mia, la nostra resistenza!

 Mio giovane amico,

T’immagino, o ti spero, animato da un desiderio di impegno. Sei musulmano, cristiano, credente, ateo o in ricerca, e io mi rivolgo alla tua aspirazione al bene […]. 
O ci mettiamo sulla strada della differenza oppure sulla strada della morte o si accetta la differenza oppure la si sopprime. La Siria è, da questo punto di vista, un luogo altamente centrale e simbolico. Non si tratta qui soltanto di un povero popolo abbandonato nell’est del Mediterraneo, bensì di questioni che sono di urgente attualità ovunque nel mondo. Dibattendo della Siria, tu e il tuo vicino, cristiano, musulmano, ebreo o altro, è di voi che parlate: discutete delle vostre stesse relazioni. Quando gli europei evocano la Siria, parlano del loro destino.

                           da “Collera e Luce. Un prete nella rivoluzione Siriana” di Paolo Dall’Oglio

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(Una fra le mie foto preferite di Paolo Dall’Oglio)

(Le foto presso la libreria Modusvivendi e l’I.S. Majorana sono di Carlo Columba)

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Nessun confine

Kasbah di Mazara del Vallo.

Kasbah di Mazara del Vallo.

In arabo confine si dice al hudud. L’ho imparato da poco. Ed ho capito ieri che saperlo non mi servirà a niente. Tra la Sicilia e l’Africa settentrionale il confine non esiste. Esiste una sponda, poi un tratto di mare, poi un’altra sponda.

Mi hanno spiegato che in Sicilia sono due le zolle che s’incontrano, la Sicilia è una terra mista. La val di Noto è d’Africa, il resto è d’Europa. E lì dove le due zolle provano da millenni a diventare una sola l’Etna si agita di fuoco e di potenza.
Da Mazara del Vallo la Tunisia dista 153 chilometri. Se ci fosse una strada al posto del mare potremmo andare e tornare da un altro continente in tre ore appena. Ma la strada non c’è. E noi restiamo quell’isola che spesso non vorremmo essere.

Mazara è una città bianca. E’ bianca di riflessi di luce sul mare e di intonaco fresco della Kasbah, il quartiere tunisino che da lì continua qui, sulla sponda opposta, come se fosse, compreso il mare, un’unica grande città, unita, uguale. Dove le sue stradine s’intrecciano e non arriva il frastuono del traffico i sussurri si amplificano come in passato le voci degli uomini antichi. Sui muri ogni ceramica racconta una storia di incontri, di colori, di vita condivisa tra le due sponde, fra innesti riusciti e conquiste di sangue. Non è facile la pace. E Mazara prova a dirlo in ogni modo possibile.

Per strada, di tanto in tanto, s’incontrano ragazzine adolescenti di lingua araba. Parlano velocemente, muovendo le mani e gli occhi come fanno le ragazze, mettendoci dentro tutta la vita in eccesso che portano in corpo e che cade al passaggio, come scia di terra verdeggiante. Sono gesti familiari in una lingua simile ma diversa, come ascoltare la propria voce senza capirne a fondo significato e suono. Io ho sorriso più volte, per quella mia pelle scura come la loro. I compagni a scuola mi prendevano in giro, perché sembravo tornare dal mare d’estate anche se era dicembre: “Ma chi sì tuicca?” (“Ma che sei turca?”), mi dicevano. Ma senza farmi male, perché io avevo la pelle di papà e tanto mi bastava per sentirmi al sicuro. Mamma, poi, mi spiegava che noi, i siciliani, siamo mescolati con il sangue degli arabi e io mi sentivo meticcia e felice.

Sul Porto Canale i pescherecci che restano sono il piccolo resto di un passato ben più glorioso. Li ha inghiottiti il mal governo, più feroce del mare in tempesta. La tempesta è nella sua natura e il mare la scatena senza poterne fare a meno; la mala politica, invece, tradisce se stessa e i diritti degli uomini che abbandona alla fame. Sembrava triste il porto così enorme, vuoto e fermo; la ruggine del rimorchiatore, le reti ammucchiate a prua, le vernici scrostate a cancellare i nomi delle imbarcazioni e le speranze di pesca. Sembrava una solenne cattedrale abbandonata dai fedeli e dai canti di gioia. Bellissima però, sempre e ancora bellissima.

Piazza della Repubblica, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

Piazza della Repubblica, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

La piazza di Mazara è un incanto: i palazzi hanno lo stesso colore della sabbia e le cupole sono verde smeraldo e brillano di sole. E’ ampia e mi è sembrata solida e festiva, anche se deserta e silenziosa. I bar  vendono i “vuccunieddi”, bocconi di pasta di mandorla ripieni di cedrata e avvolti nella carta d’argento, per farli luccicare forse, come il mare o come le cupole. A me sono sembrati morbidi e buoni, una metafora della città, che è bella, ma a “bocconi” piccoli, perché appena fuori dal centro storico la periferia ha lo squallore di troppe identità tradite.

Ho pranzato sulla spiaggia di Capo Feto, un’oasi naturale di pantani e fenicotteri bianchi chinati a cercar cibo. Piccole dune di sabbia cambiano col vento, ovunque le poseidonie spiaggiate a migliaia e di fronte a me il mar Mediterraneo. L’ho guardato a lungo, calmo e blu con il suo orizzonte mutevole e nessun confine. A guardarlo, però, ci vuol coraggio, perché quel mare non è il Tirreno che bagna Palermo e guarda a nord, quello è il canale di Sicilia, il custode severo dei morti a migliaia.
Solo 153 chilometri. Se fossi nata tre ore più a Sud, adesso, forse, sarei tra le donne che portano avanti la rivoluzione dei paesi arabi, sarei impegnata a rivendicare insieme al mio popolo, quel che un centinaio di chilometri più su, invece, si va perdendo senza troppa consapevolezza o grande dolore.

Riserva Capo Feto, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

Riserva Capo Feto, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

A Mazara si mescolano la malinconia e la speranza che le città di mare possiedono, abituate come sono alle partenze, alle attese, allo strazio per chi non fa ritorno. Costrette ad imparare i segnali del mare e del cielo e pazienti di racconti, di avventure spaventose, di incontri straordinari, di avvistamenti fiabeschi. Dal mare viene il cibo e la benedizione della vita, dal mare i nemici e la distruzione e sul mare la paura della morte fino alla pazzia.

Prima di rientrare ho reso omaggio al satiro danzante, questa volta l’armonia delle sue forme l’ho vissuta come un augurio e quel volteggiare che l’assenza di braccia, di una gamba e l’immobilità della statua non riescono a celare mi è parso indicasse un segreto di vita, una strada sapiente da trovare ancora.

Satiro danzante, Museo del Satiro, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

Satiro danzante, Museo del Satiro, Mazara del Vallo. Foto di Carlo Columba.

Secondo la Bibbia esiste una strada nel mare, la mostra Dio al suo popolo per salvarli dalla morte certa, dall’esercito nemico ormai alle spalle e dalla schiavitù del faraone.
Mi piace pensare che dalle coste di Mazara, la città bianca, una strada possa essere trovata da uomini giusti, per salvare anche oggi dalla schiavitù e offrire scampo agli oppressi. Non esiste motivo perché così non accada, tra noi e loro… nessun confine:
…che leggi più eque rendano amiche le acque delle opposte sponde l’africana e l’europea, nel nome del Dio universale, Padre di tutte le genti, cristiane ed islamiche, facendone un solo mare libero al lavoro, fecondo di pace.

(da un’iscrizione affissa in via san Giovanni)

 

Rivoluzioni (Im)Perfette

Venerdì 10 febbraio resterà per me una data da ricordare.
Importante perché ho visto e sperimentato in prima persona il circolo virtuoso che passione, amicizia, studio, consapevolezza riescono a creare.
Il mio personale e crescente interesse per il Medio Oriente e il mondo arabo mi ha fatto incontrare tempo fa una donna, Marta Bellingreri, che di quella porzione di mondo si occupa con grande impegno e passione. Marta mi ha invitata alla presentazione di un libro, “Rivoluzioni violate”, io ho letto il libro e, a mia volta, ho invitato altri amici che insieme a me hanno partecipato all’evento, acquistando il testo, e con i quali è continuato lo scambio di impressioni, idee, emozioni.
Con le persone che ho lì conosciuto si sono creati nuovi contatti in vista di possibili incontri di formazione e informazione da realizzare a scuola: è la speranza che questa rete di conoscenza, passione e solidarietà possa avere lunga vita attraverso i ragazzi. Per questo motivo affido oggi le pagine di Eufemia alla voce di una delle persone che con me da un po’ di tempo condivide interesse, tensione e preoccupazione per quelle rivoluzioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale che interpellano da vicino la nostra coscienza di cittadini liberi  e nelle quali tutti dovremmo aver contezza d’essere personalmente coinvolti.
E’ il punto di vista di chi, pur appartenendo ad una generazione diversa dalla mia, forse più disincantata, ma più consapevole, resta però sempre lucidamente in ascolto, curioso, disposto a partecipare ai processi di cambiamento necessari al compimento della giustizia.

Giulia Lo Porto

Da sinistra: Cecilia Dalla Negra,Fouad Roueiha e Debora Del Pistoia.

Da sinistra: Cecilia Dalla Negra, Fouad Roueiha e Debora Del Pistoia.

Rivoluzioni Violate è il titolo del libro presentato ieri al circolo Arci Porco Rosso a Palermo, nel cuore del centro storico, in un locale che per dimensioni e arredamento ricorda luoghi movimentisti degli anni settanta e ottanta, ma rispetto a quelli (e a quel periodo) con una differenza notevole di frequentazione: per varietà delle fasce di età rappresentate e per varietà di provenienza etnica e culturale e di colore della pelle.

Gli interventi di tre degli autori dei diversi saggi contenuti, sono stati centrati intanto sulla scelta del titolo: come fa una rivoluzione ad essere “violata”? Che significa? La domanda viene ovviamente dalla considerazione che tutti i paesi del nord-africa e gran parte del medio oriente sono sono stati attraversati quasi contemporaneamente da movimenti popolari e studenteschi centrati sulle stesse istanze: diritti civili ,rispetto delle minoranze, diritti della donna, libertà intellettuale. Praticamente dappertutto assistiamo oggi ad una marcia indietro rispetto alle aperture e ai cambiamenti che questi movimenti erano stati capaci di provocare, con conseguenze assai drammatiche culminanti con la situazione della Siria.

copertina de I tre, Cecilia Dalla Negra, Debora Del Pistoia e Fouad Roueiha, hanno esposto la situazione delle aree di rispettivo interesse: Palestina, Tunisia, Siria. Non voglio qui riportare quanto detto, produrrei solamente una insignificante sintesi,  invito eventualmente a comprare il libro, ne vale la pena. Voglio dire invece quali sono state le mie impressioni.
Grande competenza ed esperienza da parte dei relatori, i quali, usando una lingua italiana assai corretta ed elegante, scansando la tentazione del forbito e del dotto, hanno esposto con precisione l’esperienza compiuta in quei paesi e i pensieri e le deduzioni cui erano giunti. Mi ha colpito questa modalità comunicativa e credo di non essere stato il solo, dal momento che l’incontro ha sforato le due ore conservando intatti l’attenzione e l’interesse di tutti pur trovandoci in un luogo dove a quelle sopraggiunte ore il costume dei presenti è usualmente “da pub”.
Ho capito poi che la complessità delle situazioni sul campo, quella siriana in testa, sono così complesse da rendere veramente difficile dire di “avere le idee chiare” , figuriamoci di poter prevedere qualche sviluppo sia pure in tempi brevi. Ho compreso infine, ma questo già lo sospettavo e farei meglio quindi a dire “ho avuto la conferma” della inadeguatezza dei mezzi di informazione sia a video che a stampa nel descrivere i vari accadimenti: succede che la pratica professionale del giornalismo, quella stessa almeno in parte responsabile dell’affermarsi della cosiddetta “post-verità”, ha costantemente semplificato sino alla banalizzazione la descrizione dei diversi accadimenti e processi, preferendo “pompare” su Isis e la cosiddetta “Guerra Mondiale” tra i paesi a cultura occidentale e quelli a cultura islamica. Preferendo, ancora, adottare tecniche di marketing basate su richiami pseudopornografici piuttosto che rischiare di perdere un lettore non disponibile alla complessità e preferendo posizionarsi ideologicamente su un terreno politicamente neutro e sicuro in quanto realmente lontano e indifferente agli attori veri sul campo. Scelta a dir poco irresponsabile e vigliacca.

Rilancio, per concludere, quanto detto da Fouad Roueiha: “Non è tanto importante quanto vi potrò raccontare io oggi, meglio sarebbe che ognuno di noi si facesse raccontare le storie personali e familiari da i diversi rifugiati che incontriamo nelle nostre città”.

Carlo Columba