Di fronte, a sinistra.

La terra ha le viscere. Sotteranee e profonde.
Tra i cunicoli di queste viscere umide viveva una Ragazza. Non era nata lì, viveva in superficie, prima. Sottoterra c’era finita un giorno, per caso. Aveva sbagliato strada, si era persa, gli avevano fracassato il senso dell’orientamento, fu una vile aggressione. Un gruppetto di uomini e donne ben organizzato, vestiti di scuro, tutti uguali. Cercava la strada, la Ragazza. “Unisciti a noi” – gli disse il gruppetto, all’unisono, avvolto di tenebre. La Ragazza li seguì, ma poi si accorse che si addentravano in profondità, sempre più in fondo, sempre più al buio. E allora, la Ragazza, sentì nelle sue di viscere un istinto insopprimibile di luce, un desiderio di aria che la stordì. Si voltò, di scatto e si diresse correndo nella direzione opposta alla loro. Se ne accorsero quasi subito, cercarono di riacchiapparla, ma erano vecchi e storpi, e lei aveva piedi giovani, e correva. Si voltò, appena un attimo, per sentirsi rassicurata dalla distanza conquistata, ma una donna avvolta di buio la guardò e riuscì a fracassarle il senso dell’orientamento, ad avvelenare le radici buone del suo istinto.

Rimase sola e immobile. Il silenzio e il buio attorno. Cominciò a vagare in cerca di un’uscita. Niente. Passarono gli anni, e pensò diverse volte di essersi avvicinata alla luce, di vederla filtrare sotto la spessa coltre di terra, pietra e radici profonde. Niente. Nessun varco. Un giorno, camminava con gli occhi bassi e il buio dentro, occhi abituati alle tenebre e inciampò. Si ritrovò con la faccia a terra e mentre si tirava su cercava con le mani di spazzar via dal volto la polvere nera del suolo. Non era un sasso, né un ramo, non un cumulo di terreno indurito dalla siccità. Era inciampata in qualcosa di caldo e morbido, qualcosa che si muoveva e parlava:
“Ahi!”, disse infatti.
“Scusa!”, esclamò la Ragazza spaventata;
“Chi sei?”, rispose ancora dolente la voce dentro al buio.
“Io sono la Ragazza e tu?”, silenzio. “E tu?”.
“Parli con me?”,
“E con chi se no!”.
“Io sono il Mago”, disse, alzandosi in piedi.
“Un mago!?
“No, il Mago!”.
“Cosa ci fai qui?”, esclamò la Ragazza sempre più incredula.
“Non lo so bene – disse il Mago – sono alla ricerca di una nuova strabiliante magia”.
“Wow”, disse la Ragazza, mentre sentiva crescere nel suo cuore la gioia di aver qualcuno, vivo, con cui dialogare.
“Perchè non mi aiuti!”, gridò con entusiasmo il Mago, spalancando i suoi occhi grandi e scuri che però la giovane non poteva vedere.
“Aiutarti? Io? E come? Non so far niente, ho il senso dell’orientamento fracassato, non so mai dove vado, cosa faccio”.
“Non importa! – disse sorridendo il Mago, spalancando la sua bocca in un sorriso luccicante che gli occhi della Ragazza non potevano ancora vedere – sono sicuro che mi sarai d’aiuto”.

La Ragazza era confusa e anche spaventata, per un attimo pensò potesse essere uno del gruppetto di tenebre tornato ad ingannarla, ma la voce di quel Mago aveva qualcosa di luminoso e vivo che non gli sembrò compatibile con il buio.
Si misero a camminare uno accanto all’altra, senza una direzione, in cerca di una nuova strabiliante magia. Il Mago aveva piedi buoni e tanta voglia di camminare e ogni tanto saltellava alzando polvere e facendo traballare i sassi. Alla Ragazza non importava non sapere dove si trovasse davvero il Mago, se dietro o davanti, a destra o a sinistra, amava la polvere e il traballare dei sassi perchè voleva dire per lei non essere più sola. In altri momenti, invece, il Mago rallentava, e procedeva con andatura felpata e silente. La Ragazza allora con voce tremante sussurrava: “Ci sei?” – “Ci sono”, rispondeva il Mago con voce serena.

Durante quel folle procedere senza meta il Mago raccontò alla ragazza di essere cresciuto in un castello grigio e isolato e di aver deciso un giorno di catapultarsi giù da un balcone e di correre a valle, inseguendo l’allegro mormorare del villaggio. Lì conobbe tante persone semplici e buone e giocando con i bambini si accorse di esser capace di magia. Dalle sue dita venivano giù fiumi di luce brillante, arcobaleni e farfalle, ma nonostante tutto questo non riusciva a cacciare dal suo cuore tutto il grigio del castello. La Ragazza lo ascoltava trattenendo il respiro e sentì dentro di sé che qualcosa si muoveva. Ebbe paura, ma non disse nulla. Percossero le viscere della terra in lungo e in largo, raccontandosi il passato e immaginando un futuro dentro alle tenebre. Nonostante la Ragazza avesse imparato a percepire i passi felpati e silenziosi del Mago, le piaceva ogni tanto esclamare: “Ci sei?”. E il Mago ne era felice perchè lui amava risponderle: “Ci sono”.

Un giorno mentre si raccontavano il futuro la Ragazza sentì i piccoli movimenti avvertiti dentro di sé, ogni giorno, diventare un terremoto, le viscere si agitavano senza sosta, il cuore e le ossa sembravano muoversi a passo di danza. Si fermò, ansimò spaventata e felice. Il Mago si accorse che la ragazza si era appoggiata alla parete di un cunicolo e le si avvicinò. Piano. Piano. Voleva toccarla, sfiorarla appena, ma le chiese: “Posso avvicinarmi?”. La Ragazza sentiva tutta la vita agitarsi dentro di lei, nei piedi, nel naso, tra i capelli e disse: “Si, avvicinati”. Il Mago fu felice e stava per farlo, senza indugio, ma si fermò, lì, dentro al buio, trattenendo il respiro perchè capì cosa stava accadendo, fu un attimo e con voce calma chiese alla Ragazza: “Spiegami dove sei esattamente, perchè possa avvicinarmi”. Senza neanche pensarci la Ragazza gli gridò: “Sono qui! Davanti a te cioè non davanti, ma…di fronte, a sinistra”. Il Mago per essere sicuro che la strabiliante magia si stesse realizzando davvero le chiese: “Sinistra? Ma la sinistra qual è?”, e la Ragazza, senza indugio: “Dalla parte del cuore!”. Appena pronunciate quelle parole, scoppiò in un pianto di gioia, rendendosi conto che era stata di nuovo capace di orientarsi, di individuare coordinate, di offrire indicazioni, di distinguere. La felicità era incontenibile e il Mago fece appena in tempo a raggiungerla per evitare che la Ragazza si accasciasse a terrà per la troppa emozione. Appena i due si toccarono, furono riportati immediatamente in superficie, alla luce del sole. La Ragazza vide gli occhi grandi e scuri e il sorriso scintillante del Mago, e nel cuore del Mago si prosciugò ogni residuo di grigio. Nessuno dei due sapeva cosa sarebbe accaduto adesso, cosa del futuro immaginato sottoterra potesse diventare realtà. Uno di fronte all’altra, mano nella mano si guardarono a lungo e l’unica cosa che la Ragazza riuscì a dire fu: “Ci sei?” . “Ci sono”, rispose lui.

“…la città cui tende il mio vaggio…”

Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo.

Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie.

Se ti dico che la città cui tende il mio vaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora pi densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.