Una valigia per due mesi. Sembrava dover essere un soggiorno breve e intenso. Corsi per il Dottorato, piccola esperienza in Rai. Dopo, ancora Sud. Per terminare la mia tesi, velocemente e bene. Come avevo sempre fatto. Oggi 30 aprile festeggio il mio secondo anno di vita a Roma. Quei due mesi si sono dilatati, la valigia è diventata stanza in affitto in una, due, tre case differenti. La tesi è ricoperta da centimetri di polvere. In Rai mi hanno aperto un numero di matricola (evento definito giustamente “miracoloso”), ma, di fatto, senza che sia colpa di nessuno, la mia matricola si è atrofizzata dentro a qualche archivio di viale Mazzini. Le hanno sicuramente detto di mettersi in un angolo, al sicuro dalla crisi economica, in attesa di essere richiamata in servizio. Povera! Soffrirà di malinconia, non certo di solitudine. Però un lavoro ce l’ho e pure uno stipendio. Giuro. Precario, ovviamente. Il fatto è che proprio non riesco a farmelo piacere. Il lavoro dico, non lo stipendio, ovviamente.
Due anni. Due anni come due minuti dentro ad un frullatore. Tutto spezzato e trasformato. Tutto diverso. Tra la prima valigia e lo stipendio di oggi ci stanno ventidue mesi e molte cose. Tra la prima valigia e il mio presente c’è una città, una città affollata di gente, di eventi, di robe da piazza, di viicoli stretti, di palazzi, di chiese e monumenti, di manifestazioni, di politica e potere, di spaghetti cacio e pepe, di librerie, di tramonti mozzafiato, di cupolone, di fiorai, di derby, di turisti in canottiera e di bus affolati. Roma. Le persone, le cose, le parole, gli incontri. Ad uno sguardo di insieme, distante, distratto sembra confusione, traffico, caos. Ma a guardare con più attenzione Roma è gente venuta a portare qualcosa nella mia vita: una parola, una possibilità. Gente venuta ad aprire porte chiuse da tempo, o che si accosta, con andatura determinata e costante per dirmi qualcosa di me che ancora non so.
Roma ti deruba di forza. Roma è avida di passi. Accade allora di sentire la stanchezza e di non avere voglia di ributtarsi nella mischia. Pensi: Ma dove vado? Ma cosa sto facendo? Ti pare che il tuo volto si confonda con quello degli altri e che nessuno lo riconosca come unico. E, mentre stai seduto sul gradino del marciapiede ed osservi le ginocchia del mondo che ti passa accanto, alzi lo sguardo, pensi di intravedere “qualcuno” tra la folla e ti assale una malinconia che rende quel luogo insopportabile e la fatica per restarci dentro, inutile. Il luogo da dove vieni si trasforma. I ricordi delle cose “normali” diventano sacri e anche il pensiero di un pranzo in famiglia assume i contorni di un racconto mitologico fatto di eroi, di divinità, di vittorie.
La distanza da casa e l’incertezza del futuro, la vita che cambia e non capisci, i desideri che si trasformano e non riconosci, i compromessi che ti rincorrono, la nostalgia di ciò che desideri diventare, le novità che ti sorprendono, le persone che ti travolgono, tutto ti scava dentro uno spazio. Uno spazio inatteso, non previsto, di cui ti accorgi solo dopo, quando già esiste. E ci guardi dentro e ne vedi la profondità e ti chiedi cosa mai potrai metterci lì dentro, come riuscire a riempirlo. Già. Cosa? Capita di pensare, allora, dopo questi due anni per le strade di Roma, che quello per cui sei arrivata fin qui è diventato altro e che bisogna cambiare programma. Capita di pensare che si, magari la tesi di dottorato la finirai pure ma tocca reinventarsi la vita. E anche se ti rabbrividisce il freddo e l’umidità che arriva da quel vuoto che la città con la sua vita ti ha scavato dentro, speri di poter trovare, da qualche parte, pensieri nuovi, speranze durature, sogni diversi o, forse, sogni rinnovati, cambiati di abito, tirati a lucido. Che la vita è bizzarra, dicono. E i sogni vanno tenuti allennati, ben oleati, con la revisione fatta, con il tagliando in regola. Pronti a ripartire, in qualsiasi momento. Perchè Roma non è solo “guerra”, la tua crociata per conquistare e difenderti la vita. Roma è già vittoria. È la pagina che si gira, è l’attesa di sapere come finirà la storia. “…A me pure piace girare per le strade di Roma… soprattutto in estate.. di sera… verso le sette e mezza, otto… e sentire il rumore delle posate che vengono disposte sulla tavola… e pensare alle famiglie che si stanno preparando a cenare… e sentirmi leggero…“.