Il fiore della vita

Abbiamo piantato un mandorlo sulla placenta del nostro bambino.

Per sedici mesi l’abbiamo affidata al freddo e alla sua custodia, fino a quando non ci si è manifestato il momento opportuno.

Quando l’ostetrica che ha preparato e assistito la nascita di nostro figlio ha aperto l’involucro che la custodiva, pensavo ne sarei rimasta turbata, invece  la placenta era lì, bellissima e potente. Aveva ricominciato a sanguinare, del sangue vivo mio e del piccolo Giona, come durante la gravidanza e il parto. Dopo tutti questi mesi era ancora irrorata di forza vitale.

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Non ho faticato allora a credere a tutti i miti che ne raccontano il potere e il mistero, dai greci ai maori, fino ai giorni nostri.
Dal punto di vista della scienza, il patrimonio genetico più vicino a quello di mio figlio: perfino la medicina sembra poesia.

Ogni popolo ha la sua tradizione, per alcuni è dea, per altri drago, per altri immagine dell’albero della vita. La si usa per preparare medicamenti, la sì conserva in pozioni, la si mangia perfino, la si pianta in un luogo significativo, in ogni caso ha il compito di guarire e di proteggere.

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Il cordone ombelicale è detto “acchiappa sogni”, per questo è bene conoscere i propri desideri e dirli al cuore dopo averle dato sepoltura. Io l’ho fatto, stretta nell’abbraccio del padre di Giona. E svelare al cuore i desideri mi è parsa una grande protezione, l’inizio di una buona guarigione.

Sapevo di non volerla lasciare ai rifiuti sanitari dell’ospedale. L’avevo partorita al pari di Giona, mi apparteneva.

E proprio mentre Giona giocherellava l’abbiamo posta nella buca preparata con cura. Guardandola ho pensato: “Bene, una parte di me viene restituita alla terra”. Mi sono commossa perché sono viva ma morirò e vederne i segni è sapienza e benedizione.

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Con la terra morbida e fresca l’abbiamo ricoperta e poi piantato sopra la zolla di un mandorlo. Giona lo vedrà fiorire e portare frutto, perdere le foglie e rinascere di nuove gemme, così conterà le stagioni e i suoi anni, fino a quando non andrà per la sua strada.

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Scrivo perché credo che tutte e tutti possono recuperare questa ricchezza, perché anche il parto più medicalizzato e feroce porta con sè risorse infinite di bene che restano vive come il sangue della placenta.

Possiamo invertire il passo. Cambiare, recuperare, trasformare, ri-vivere.

La  sera Giona si è addormentato al seno. Mentre ciucciava con la mano mi accarezzava il petto, il viso, l’altro seno. Io sentivo il suo fiato addosso: “Se non è questo lo Spirito Santo” – ho pensato. Intanto dal mio corpo il sangue del mestruo e mi sono sentita viva e forte, selvatica, nonostante la stanchezza, le ferite, il sonno, la paura della vita.

Il corpo, la terra, le viscere, il sangue, l’amore.

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Quando l’embrione sta per cominciare la sua seconda settimana di vita, ha inizio il processo d’impianto che dura 3 o 4 giorni; si conclude generalmente entro il dodicesimo giorno. Sì forma il sacco amniotico, che funge da culla per l’embrione, mentre avviene la fuoriuscita del trofoblasto che si aggancia all’endometrio addentrandosi al suo interno e costituendo la Placenta, il mandala o fiore della vita.

Robin Lim, “Il chakra dimenticato. Il libro della placenta”.