Senza pietre non c’è arco

Foto da Panoramio, autore aurelioclik

Chiesa di S. Maria dello Spasimo, Palermo. Foto da Panoramio, autore aurelioclik

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede

Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, –
risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: –
perchè mi parli delle pietre? E’ dell’arco che m’importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.

Potere: uno sfacelo senza fine nè forma

    

 [Esplora il significato del termine: Rabaa, la devastazione nella moschea al Cairo] Rabaa, la devastazione nella moschea al Cairo

Rabaa, la devastazione nella moschea al Cairo

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore.

Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull’altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine nè forma, che la sua corruzione è talmente incancrenita perchè il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina.

Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.

Eccoci qui, difatti.

 

Foto di Manish Swarup

Foto di Manish Swarup

POLO: – … Forse questo giardino affaccia le sue terrazze solo sul lago della nostra mente…

KUBLAI: – …e per lontano che ci portino le nostre travagliate imprese di condottieri e di mercanti, entrambi custodiamo dentro di noi quest’ombra silenziosa, questa conversazione pausata, questa sera sempre eguale.

POLO: – A meno che non si dia l’ipotesi opposta: che quelli che si arrabattono negli accampamenti e nei porti esistano solo perchè li pensiamo noi due, chiusi tra queste siepi di bambù, immobili da sempre.

KUBLAI: – Che non esistano la fatica, gli urli, le piaghe, il puzzo, ma solo questa pianta d’azalea.

POLO: – Che i portatori, gli spaccapietre, gli spazzini, le cuoche che puliscono le interiora dei polli, le lavandaie chine sulla pietra, le madri di famiglia che rimestano il riso allattando i neonati, esistano solo perchè noi li pensiamo.

KUBLAI: – A dire il vero, io non li penso mai.

POLO: – Allora non esistono.

KUBLAI: – Questa non mi pare una congettura che ci convenga. Senza di loro mai potremmo restare a dondolarci imbozzoliti nelle nostre amache.

POLO: – L’ipotesi è da escludere, allora. Dunque sarà vera l’altra: che ci siano loro e non noi.

KUBLAI: – Abbiamo dimostrato che sei noi ci fossimo, non ci saremmo.

POLO: – Eccoci qui, difatti.