Il mondo davanti

img_20160923_144814  img_20160923_144903  img_20160923_145113 img_20160923_152808Da quando è cominciata la scuola la maledico questa città, per il traffico opprimente e i cantieri aperti, le strade dissestate, i marciapiedi con l’erbaccia alta 50 cm, per la sporcizia e il puzzo della spazzatura per strada. Lo sapevo che Palermo non avrebbe avuto alcun riguardo per il mio ritorno, che non mi avrebbe mai ringraziata o trattata con garbo.

Così è Palermo inghiotte ogni sforzo e riporta tutti continuamente al punto di partenza. Non cede di un solo passo la sua malinconia decadente e quel senso di perdita, di vuoto incolmabile. Eppure oggi, mentre in un quartiere popolare aspettavo seduta in auto l’uscita da scuola dei miei nipoti, ho avuto tempo di osservare e di pensare: mi è passato il mondo davanti agli occhi. Non solo per gli stranieri che si muovevano disinvolti e salutando la gente per strada, ma anche per il passaggio di giovani molto diversi tra loro, seppure si trattasse della solita diversità rituale di ombelichi in bella vista, capelli colorati e piercing. Tutto mi è apparso comunque in movimento. Ciclico, rettilineo, a spirale, non importa, purché ci sia.
Le persone si muovono. Si, lo so è la più banale delle affermazioni. Ma anche quella che sembra fare al mondo maggiore paura.
Sul muro vicino all’auto, poi, ho visto affissi dei manifesti che mi hanno molto molto impressionata. Ritraevano Bashar Al Assad, il dittatore a capo della Siria, quello che uccide i bambini del suo popolo con le bombe al fosforo, per intenderci. Ma il manifesto lo ritraeva sorridente, circondato dalla folla e c’era scritto in calce: “Il maggiore garante per la lotta contro il terrorismo e legittimo presidente dei siriani”, la firma era quella di Casapound. Ho sentito la collera bruciarmi la gola: era il desiderio di maledirli per quella perversione della realtà pagata con il sangue di 500.000 siriani e con il dolore di 7 milioni di persone che non hanno più una casa, una terra, una patria. Ma non li ho maledetti, perché intanto è suonata la campanella e un fiume scomposto di bambini mi è venuto incontro.img_20160923_145216 Erano bianchi, neri, gialli, sani, diversamente abili, di fede cristiana e musulmana ed erano insieme. La scuola riesce a farli ancora questi miracoli. Allora ho pensato che nonostante Casapound e Bashar al Assad, il mondo si mescolerà, i popoli si incontreranno, i muri diventeranno macerie, sta già succedendo, almeno in un quartiere popolare di Palermo, alle 3 del pomeriggio, davanti ad una scuola.

Ti scrivo ogni sera, da quasi vent’anni

Per festeggiare il nuovo ed esclusivo dominio di “eufemia,frammenti”, riproponiamo uno dei post che avete amato di più! Buona lettura.

(foto di Alberto Tozzi)

(foto di Alberto Tozzi)

Ti scrivo ogni sera, da quasi vent’anni.
Nessuno lo sospetta, una donna non scrive.
Mi pensano intenta a filare la tela per Laerte, impegnata a far cose consone alla mia condizione di donna e di regina. Se solo qualcuno tra quanti mi circonda fosse veramente interessato a me, si sarebbe reso conto che per filare, sfilare e rifare mi bastano ormai poche ore al giorno, dopo tanti anni si diventa esperti nei movimenti sempre uguali a se stessi. Mi guardano con desiderio i Proci, ma nessuno realmente possiede occhi per me. Il loro sguardo è avido, nel mio corpo riflettono la propria immagine, una virilità dal sapore dolciastro di vino, unta come il grasso delle bestie che divorano con morsi ingordi.

Ti scrivo ogni sera, per nostalgia, per amore e per rabbia. La nostalgia dei tuoi occhi, l’amore per te, per la tua vita, per il tuo corpo e per la tua anima profonda come il mare sul quale ti aggiri vagabondo, la rabbia per la tua esistenza libera, per le avventure, per la possibilità di scegliere, per il pericolo sfidato a duello ogni giorno, per la tua barba incrostata di sale. A volte mi assale il terrore, quando non riesco a ricomporre, con la perfezione che vorrei, i tratti del tuo viso; ad ogni tramonto, con il sole, perdevo un po’ della nitidezza con la quale ho provato e provo a ricordarti, e se non ti ho perduto del tutto è stato perché ti ho visto rinascere e crescere ogni giorno sulla faccia di Telemaco. Se solo avessi più coraggio, se solo fossi io per prima libera dal ruolo al quale tutti mi condannano, sarei capace di elaborare un piano per liberarmi dai Proci che invadono la nostra casa e che mi rubano la vita. Certi giorni sento dentro di me la forza necessaria a compiere la strage: li abbatterei uno ad uno con la precisione di un arciere. Saresti fiero e invidioso per la lucidità con la quale ad ognuno strapperei il cuore dal petto, sempre che gli dei abbiano donato a queste belve un cuore di uomini! Si Ulisse, amore mio, li abbatterei tutti come alberi nella foresta e di rabbia e voglia di vivere me ne resterebbe a sufficienza per imbarcarmi alla ricerca di te.

Quando qualche forestiero si ferma ad Itaca in cerca di ristoro e racconta alcune delle tue gesta, lascio alla gioia libertà di invadermi il cuore di quella felicità che piove copiosa sulla speranza dei vivi in attesa, la felicità di avere notizie di te, vivo. Ma poi, quando credendo di non essere da me ascoltati raccontano dei tuoi amori, delle figlie di dei invaghite del tuo coraggio che ti trattengono fra le loro braccia e le loro gambe di giovani ninfe, la gioia lascia posto al furore della gelosia ed io vorrei liberarmi di te come dei Proci, abbatterti senza pietà e libera da ogni legame ricostruire la mia vita, una vita di poco amore e troppa attesa. Si, vorrei lasciare Itaca, il mio popolo e i doveri di regina e confondermi tra altri popoli e altre terre dove deporre le armi dell’attesa, dove l’ombra di un passato felice non mi avvolga di paura, dove l’ansia di un futuro incerto non mi costringa ad attendere albe, all’infinito; dove esiste solo il presente e la vita che possiedo davanti agli occhi, ogni giorno.

Voi, uomini, che sfidate la morte in combattimenti senza esclusione di colpi, che rischiate la vita per un insulto o un ideale o una vendetta, come se di vita ne aveste sempre in abbondanza, come se guardare la morte negli occhi fosse solo un modo per crescere in potenza e onore, fama e coraggio! Tra voi e il sangue non c’è il ritmo e l’armonia che noi donne conosciamo, voi con il vostro corpo che muta solo dall’esterno, voi  che decidete tutto e tutto distruggete, voi unica voce del potere. Le vostre ferite guariscono, i vostri tagli si rimarginano e le cicatrici sono i vostri trofei.

Ulisse mio amore e mia disgrazia, sono sicura che a tutti tu parli di me e giuri con profonda certezza che ad Itaca la tua sposa ti attende, fedele. Fai bene a giurare, Ulisse, sulla mia fedeltà, anche se ne ignori la fatica, tu…tu che neppure sospetti a quali ancore la mia fedeltà si aggrappa per resistere alle tempeste. Non al dovere Ulisse, né alla dignità di regina, non al pudore né al vincolo delle nozze, ma a me stessa Ulisse, a quello che di me vedo e scopro durante le ore infinite che trascorro nelle mie stanze, fingendo di tessere, appoggiata al telaio come fosse il timone di una nave. So viaggiare anch’io Ulisse, senza solcare nessun mare se non quello che dentro di me si agita mostrandomi terre sconosciute e paesaggi mai visti. Tu credi di sapere chi sono, ma ciò che io sono è come la sabbia che stringi nel pugno ad ogni naufragio dal quale gli dei ti risparmiano: granelli innumerevoli che scappano alla presa forte delle tue dita e che al sole luccicano, che le onde uniscono al loro passaggio e che il calore spacca, secca e separa. Io sono cose che tu non sai, possiedo volti che tu non hai mai visto.

In questi lunghi e feroci anni, la notte, dopo aver messo a letto Telemaco e atteso il russare ingordo di tutti i Proci, quando le ancelle hanno rassettato ogni cosa e gli anziani dell’isola appendono al chiodo le loro cetre, io rimango a vegliare su me stessa, a tessere la tela invisibile della mia anima, a combattere battaglie feroci con la vecchiaia che mi rapisce gli anni e la bellezza del corpo. In questo campo di battaglia io, Penelope, sono morta e tornata in vita mille volte, mutando i lineamenti di un’esistenza che per te è ormai solo un ricordo. Ulisse, uomo curioso e vagabondo, supplico gli dei che al tuo ritorno io sia per te terra ancora vergine, mistero capace di trattenerti, vicino e coinvolto. E se così non fosse, la fedeltà di cui ti sei vantato sarà quella che mi porterà lontano da te e da una vita che non può più essere mia. Tu navighi e giri il mondo, accechi i ciclopi ed espugni Troia, così cambi te stesso, così cambi me. Ed io…io vivo, vivo questo tempo di vuoto e di violenza, di povertà e dolore, Ulisse amore mio, nella speranza che la mia vita testarda possa mutare, come le onde la roccia, un giorno, anche te.