Occorre essere fortissimi

(Pier Paolo Pasolini)

(Pier Paolo Pasolini)

L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.

Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli.

Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.

  • Saggi sulla politica e sulla società, Pier Paolo Pasolini.

Chi l’avrebbe mai detto

(Una delle ultime fotografie scattate a Sam Shepard).

(Una delle ultime fotografie scattate a Sam Shepard).

Chi l’avrebbe mai detto che gli Inglesi si sarebbero beccati la nostra musica.
Chi l’avrebbe mai detto che la nostra musica avrebbe beccato il mondo.
Chi l’avrebbe mai detto che l’Africa avrebbe acchiappato l’America.
Chi l’avrebbe mai detto che gli Indiani avrebbero fregato i Francesi.
Chi l’avrebbe mai detto che Brecht avrebbe fregato la mente di Dylan.
Chi l’avrebbe mai detto che il tempo era dalla nostra.

da “La Luna del Falco” di Sam Shepard, 1973.

Da qualche parte nella terra del sogno

Le parole che trovate di seguito sono un tentativo di traduzione del commiato scritto da Patti Smith per la morte di Sam Shepard, il suo amico di sempre (My Buddy, pubblicato su The New Yorker il 1 agosto 2017). Io non traduco per mestiere e mi è venuto difficile, difatti. Ma l’amore che ho per Patti, mi ha spinta a compiere l’impresa. E’ una traduzione certamente piena di errori, ma anche intrisa del desiderio di far conoscere, almeno ai lettori di Eufemia, una storia di rara amicizia, la storia di una relazione sincera che porta con sé il grande miracolo di poter essere e restare se stessi, nonostante le trasformazioni della vita e dell’età.


(Sam Shepard e Patti Smith)

(Sam Shepard e Patti Smith)

Telefonava tardi nella notte, mentre si trovava da qualche parte sulla strada: in una città fantasma del Texas, mentre riposava vicino a Pittsburgh, o da Santa Fe, dove restava immobile nel deserto, ascoltando i coyotes ululare.
Ma più spesso chiamava dal Kentucky, il suo “luogo”, quando la notte era fredda e serena, quando si sentivano respirare le stelle.
Solo una telefonata in tarda notte, da un blu sorprendente come una tela di Yves Klein; un blu per perdersi, un blu che può portare ovunque.
Mi svegliavo felicemente, preparavo del caffé e parlavamo di tutto: degli smeraldi di Cortez, o di Flanders fields, dei nostri figli o del derby del Kentucky. Ma per lo più parlavamo di scrittori e dei loro libri. Scrittori latini. Rudy Wurlitzer, Nabokov, Bruno Schulz.

“Gogol era ucraino” disse una volta, apparentemente dal nulla. Ma non era un nulla qualsiasi, era una scheggia di un nulla sfaccettato che, quando lo si pone sotto una certa luce, diventa un “qualche luogo”. Io cavalcavo quell’onda e improvvisavamo fino all’alba, come due sassofonisti esperti, alternandoci nelle interpretazioni.

Una volta mi ha inviato un messaggio dalle montagne della Bolivia, dove Mateo Gil stava girando “Blackthorn”. L’aria era sottile là sulle Ande, ma lui la fendeva bene, trovandosi meglio degli attori più giovani, cavalcando non meno di cinque diversi cavalli. Ha detto che mi avrebbe portato un serape, nero con strisce color ruggine. Ha cantato su quelle montagne davanti ad un falò, vecchie canzoni scritte da uomini a pezzi, innamorati di se stessi nonostante stessero per svanire. Avvolto in coperte, dormiva sotto le stelle, alla deriva sulle nubi di Magellano.

Sam amava stare in movimento. Lanciava una canna da pesca o una vecchia chitarra acustica nel sedile posteriore del suo camion, forse portava con sé anche un cane, ma sicuramente un quaderno, una penna e un mucchio di libri. A lui piaceva caricare i bagagli e vivere proprio così, andando ad ovest. Allo stesso modo amava interpretare ruoli che lo avrebbero costretto ad avere a che fare con la sua stranezza, un nutrimento per il successivo lavoro.

Nell’inverno del 2012, ci siano incontrati a Dublino, aveva ricevuto una laurea ad honorem  in lettere dal Trinity College. Era spesso imbarazzato dai riconoscimenti, ma lo accolse volentieri perché proveniente dalla stessa istituzione dove Samuel Beckett aveva camminato e studiato. Amava Beckett e aveva qualche suo brano manoscritto incorniciato in cucina, insieme alle foto dei suoi figli. Quella giornata abbiamo visto la macchina da scrivere con la quale John Millington Synge e James Joyce scrissero le loro opere e nella notte ci siamo uniti a dei musicisti che suonavano nel Pub preferito di Sam, il Cobblestone, dall’altro lato del fiume. E mentre camminavamo barcollando con il cuore leggero attraverso il ponte, recitò alcuni versi di Beckett a memoria.

Sam aveva promesso che un giorno mi avrebbe mostrato il paesaggio del sud-ovest, poiché nonostante avessi viaggiato molto non conoscevo bene il nostro paese. Ma fu colpito da una malattia debilitante e  alla fine ha smesso di caricare i bagagli e partire. Da allora in poi sono andata a trovarlo e abbiamo letto e parlato, ma per lo più abbiamo lavorato.
Lavorando per il suo ultimo manoscritto, Sam ha coraggiosamente dato vita ad una riserva di resistenza mentale per affrontare tutte le sfide che il destino gli aveva assegnato. La sua mano, con una luna crescente tatuata tra il pollice e l’indice, era poggiata sul tavolo davanti a lui. Il tatuaggio era un ricordo dei nostri giorni giovani, il mio è un fulmine, sul ginocchio sinistro.

Descrivendo un paesaggio western, improvvisamente alzò lo sguardo e disse: “Mi dispiace che non posso portarti lì”. Ho sorriso, perché in qualche modo lui aveva appena fatto proprio questo. Senza una parola, con gli occhi chiusi, noi attraversammo il deserto americano che srotolò un tappeto di polvere color zafferano, poi color ruggine e anche il colore del vetro verde, i verdi d’oro e poi, improvvisamente, un blu quasi inumano. La sabbia blu! – dissi – colma di meraviglia. “Tutto è blu” – ha detto lui – e le canzoni che abbiamo cantato avevano anch’esse un proprio colore.

Avevamo la nostra routine: svegliarsi, prepararsi per la giornata con un caffè e qualcosa da mangiare. Mettersi al lavoro, scrivendo. Poi una pausa, fuori, per sedersi sulle sedie di Adirondack e osservare il paesaggio. Non era necessario parlare, come accade in una vera amicizia. Mai stavamo a disagio in quel silenzio, che, nel suo sorgere, è un’estensione della conversazione. Ci conoscevamo da così tanto tempo! I nostri modi di fare non potrebbero essere definiti o liquidati con poche parole per raccontare una spensierata giovinezza. Noi eravamo amici. Nel bene e nel male, eravamo proprio noi stessi. Il passare del tempo non ha fatto altro che rinforzare tutto questo. Le sfide si facevano più ardue, ma siamo andati avanti ed abbiamo terminato il lavoro sul suo manoscritto. Stava sul tavolo e c’avevamo messo tutto, niente era rimasto di non detto. Quando sono partita, Sam stava leggendo Proust.

Passarono lunghi e lenti giorni. Era proprio una serata tipica del Kentucky, lucente di lucciole, accompagnata dal suono dei grilli e dai cori dei rospi. Sam si avvicinò al suo letto e si preparò per andare a dormire, un sonno stoico e nobile. Un sonno che lo ha condotto ad un passaggio senza testimoni, circondato da un amore che respirava nell’aria. Cadeva la pioggia quando trattenne il suo ultimo respiro, in silenzio, proprio come avrebbe voluto. Sam era un uomo riservato. So qualcosa degli uomini così. Devi lasciarli decidere come far andare le cose, anche alla fine. La pioggia cadeva, nascondendo le lacrime. I suoi figli, Jesse, Walker e Hannah, hanno detto addio al padre. Le sue sorelle Roxanne e Sandy hanno detto addio al loro fratello.

Io  ero lontana, in piedi sotto la pioggia davanti al leone addormentato di Lucerna, un colossale, nobile, stoico leone scolpito nella roccia di una bassa scogliera. La pioggia cadeva,  nascondendo le lacrime. Io sapevo che avrei rivisto Sam da qualche parte nella terra del sogno, ma in quel momento ho immaginato di tornare nel Kentucky, con i suoi campi ondeggianti e il torrente che sfocia in un piccolo fiume. Ho immaginato le copertine dei libri di Sam sulla mensola, i suoi stivali grinzosi poggiati contro il muro, sotto la finestra, da dove guardava i cavalli che pascolavano davanti alla recinzione. Ho immaginato me stessa seduta al tavolo della cucina mentre cercavo di raggiungere quella mano tatuata.

Molto tempo fa, Sam mi ha mandato una lettera. Una lunga lettera nella quale mi diceva di un sogno che aveva sperato non sarebbe finito mai. “Sognava cavalli”, ho detto al leone. “Realizza tu il sogno: un grande cavallo rosso che lo aspetta, un vero campione. Non avrà bisogno di una sella, non avrà bisogno di niente”. Mi diressi verso il confine francese, vi era una luna crescente che sorgeva nel cielo nero. Ho detto addio al mio amico, chiamandolo nella morte della notte.

 

Obiettivi cambiati

Consecutive moments © Hiroko Otake

Consecutive moments © Hiroko Otake

“Il prete mi ammoniva dicendo che non dovevo comportarmi mai in modo individualista, non dovevo pensare solo a me stesso! I miei genitori si auguravano che avessi un lavoro normale; i miei fratelli che finissi gli studi; i miei amici che trovassi un posto fisso. Io invece mi sono opposto a ogni tentativo di imposizione, e i miei obiettivi sono sempre cambiati. La fine di ogni singola fase della vita è stata determinata esclusivamente dalla percezione che da una determinata attività non avrei tratto più alcuno sviluppo ulteriore. Il mio nido, ogni volta diverso, mi ha consentito una continua evoluzione. Noi uomini non siamo «portati» per un determinato lavoro, abbiamo un «compito», ma nessuna «vocazione», proprio come accade per le piante o gli animali”.

 “La vita secondo me” di Reinhold Messner

Discorso sospeso

Paolo Borsellino

Paolo Borsellino

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l’odore del sangue rappreso,
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso.

– Fabrizio De Andrè, La Ballata degli impiccati.

Fuoco pazzo

(Giovanni Falcone - Francesca Morvillo)

(Giovanni Falcone – Francesca Morvillo)

Il mondo è fatto così – , rivelò. – Un mucchio di gente, un mare di fuocherelli.
Ogni persona brilla di luce propria in mezzo a tutte le altre. Non esistono due fuochi uguali. Ci sono fuochi grandi e fuochi piccoli e fuochi di tutti i colori. C’è gente di fuoco sereno, che non si cura del vento, e gente di fuoco pazzo, che riempie l’aria di faville. Certi fuochi, fuochi sciocchi, non fanno lume né bruciano. Ma altri ardono la vita con tanta passione che non si può guardarli senza strizzare gli occhi; e chi si avvicina va in fiamme.
                                                                                                               Eduardo Galeano

Rispirari in funn’o mare

(foto di Maggie Hood)

(foto di Maggie Hood)

Aprire qui https://www.youtube.com/watch?v=wFZ4aaPVVIQ

Ardere

Questo link (sotto al disegno!) vi porta ad un post bellissimo, in un blog esagerato.
Scopritelo!

(Xuan Loc Xuan)

(Xuan Loc Xuan)

https://esageratore.wordpress.com/2017/04/30/ardere/

Una cosa meravigliosa

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La metamorfosi del cuore è una cosa meravigliosa, a prescindere da come arrivi.

– Patti Smith, M Train.

Muro

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“Fu come se avessi parlato davanti a un muro, ritto in una pianura abitata solo dal vento”.

  • Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli.