La paura è veleno

© Ben Zank

© Ben Zank

Appena entrata in classe mi hanno detto che avevano una cosa da raccontarmi. Son pochi e di stare seduti ai loro posti non ne vogliono sapere. L’orologio segna quasi le tre del pomeriggio, hanno ragione, porca miseria. Stanno lì dentro dalle otto del mattino! Dovrebbero costituirsi parte civile contro uno Stato che tollera di far scuola in ambienti così, come se fossimo tutti polli da allevamento. Li lascio liberi di stare in piedi o seduti sui banchi o vicino a me, alla cattedra, che qualche animo gentile esiste ancora.

E’ di droga che mi vogliono parlare. Per un servizio che hanno visto in tv. Una storia terribile, ma a lieto fine. Fanno a gara per decidere chi deve raccontarmi meglio, per stabilire a chi spetta mettermi a parte di tutti i particolari. Io della storia, in verità, non ci capisco un granché, ma leggo sui loro volti il sollievo, molto vicino alla gioia, per un ragazzo come loro che era perduto, morto e che, invece, ce l’ha fatta.

Cerco allora di capire cosa ne sanno questi ragazzi sedicenni di droga. Beh, ne sanno un sacco. Sanno di droga e di spacciatori e sanno che “certe volte si spaccia per poter mangiare prof”. Dicono che loro non la toccano la droga, che a tutti, nessuno escluso, è stata proposta, con insistenza, e sentono il bisogno di specificare che “non si trattava di spinelli”. Io decido che mi stanno guardando troppo e a lungo negli occhi e che la vittoria della luce e dell’aria d’autunno sullo squallore dell’aula è troppo grande per potermi mentire.

Quando chiedo perché secondo loro un ragazzo comincia a drogarsi, la risposta è unanime: “Per paura”.
“Per paura di che?” – controbatto io. “Per paura di non essere abbastanza prof., per paura di non essere accettati, per paura di essere messi da parte e restare soli, per paura di non farcela, per sentirsi forti”.

Amen.

Un pensiero su “La paura è veleno

  1. Lamentiamo molto spesso “la pochezza” dei nostri alunni (in qualche caso a ragione) ma in occasioni come questa non posso fare a meno di pensare quanto loro siano molto “adatti” e consapevoli dell’ambiente in cui vivono. Più di quanto io stesso non sia del mio . . .

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